La fotoincisione

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Quando il circuito stampato che si vuole realizzare è formato da più di qualche resistore oppure si vuole fare una piccola serie, l'uso del metodo del trasferimento diretto diventa improponibile. A livello hobbistico la soluzione forse più praticata si chiama fotoincisione: anche se il nome potrebbe trarre in inganno, non sostituisce l'incisione con il cloruro ferrico ma è solo un metodo per "disegnare" sul rame le piste usando la luce; il passaggio nel bagno di incisione è comunque necessario.

I vantaggi della fotoincisione rispetto al trasferimento diretto sono molti:

Ovviamente ci sono anche svantaggi:

Inutile dire che i vantaggi coprono abbondantemente gli svantaggi in quasi tutti i casi.

Per realizzare un circuito tramite fotoincisione occorre:

  1. Disegnare il basetta
  2. Esporre ai raggi ultravioletti la basetta
  3. Sviluppare chimicamente la basetta
  4. Procedere all'incisione chimica e aa altre operazioni identiche a quelle previste da altre tecniche

Il master

Il master di un circuito stampato è costituito dal disegno in scala 1:1 delle piste su un supporto più o meno trasparente: può essere usato un foglio di acetato oppure carta da lucido per disegni tecnici. In molti casi anche un foglio di carta comune è adeguato, provare per credere! E' importante che il foglio sia trasparente non tanto alla luce visibile quanto agli ultravioletti: i materiali di cui sopra lo sono sufficientemente anche se una verifica quantitativa non l'ho mai fatta. 

L'acetato ha il vantaggio/svantaggio di essere perfettamente trasparente anche alla luce visibile ma è più difficile realizzare i disegni in quanto servono strumenti di disegno specifici, peraltro reperibili in un negozio per articoli tecnici. Se si intende stampare o fotocopiare il disegno, è necessario ricorrere a prodotti specifici per stampanti laser o a getto di inchiostro.

Attenzione! Un foglio di acetato generico, inserito in una stampante laser o in una fotocopiatrice, rovina il tamburo di fusione in modo permanente, con danni molto rilevanti.

È possibile invece usare la carta da lucido con normali strumenti da disegno, ed in particolare stampare con stampanti laser e fotocopiatrici (per le quali esistono peraltro anche supporti specifici). Da notare che i fogli da lucido non appaiono trasparenti alla luce (nel senso che sono traslucidi e non si vede chiaramente cosa c'è dall'altra parte) ma lo sono sufficientemente rispetto agli UV, che è poi quello che interessa.

Infine esiste la possibilità di usare la carta comune per fotocopiatrici, materiale che pur apparendo bianco, è semitrasparente alla luce ultravioletta. Il vantaggio (a parte il costo e la disponibilità...) è la perfetta compatibilità con tutti i sistemi di disegno e le stampanti, fatto che permette di ottenere disegni di altissima qualità. Lo svantaggio è legato al fatto che la non perfetta trasparenza implica elevati tempi di esposizione, da effettuare possibilmente con un bromografo di elevata potenza. La qualità complessiva dei risultati usando la carta comune dipende fortemente dallo spessore dalla carta usata, dal tipo di sbiancanti utilizzati nella sua produzione, dalla potenza delle lampade usate e soprattutto dalla qualità del sistema di stampa, che deve utilizzare inchiostri perfettamente opachi per non ridurre eccessivamente il contrasto: prima di procedere occorre quindi fare prove molto approfondite, in quanto molti passaggi sono critici e sono necessari diversi tentativi per ottenere buoni risultati. Il vantaggio è la possibilità di ottenere i migliori risultati quando si lavora con piste estremamente sottili o isolamenti elettrici ridotti.

La caratteristica fondamentale del disegno da utilizzare come master è che le tracce devono essere perfettamente opache alla luce ultravioletta; ciò implica due cose:

Per una verifica approssimativa della qualità del master è possibile usare un piano luminoso oppure, più semplicemente, appoggiarsi al vetro di una finestra in una giornata luminosa: il master deve apparire perfettamente nero e omogeneo dove è stato annerito.

Inutile dire che se sono presenti i difetti, la qualità del lavoro risulta in tutto o in parte compromessa, in funzione della gravità di tali difetti.

Qualcuno consiglia di sovrapporre due o più fogli con lo stesso disegno: è l'ultima spiaggia, applicabile solo se le piste e gli isolamenti sono piuttosto grossi; personalmente non ho mai applicato questa tecnica e vi consiglio di fare altrettanto.

Un (piccolo) ritocco con pennarello nero indelebile a punta fine o raschietto è sempre possibile, a condizione che i difetti siano pochi e la pazienza tanta. A me non è mai servita questa operazione, meglio ristampare.

Con il tempo, fate qualche esperimento con diversi tipi di supporto e/o stampanti, alla ricerca dei migliori risultati. Personalmente, dopo alcuni esperimenti in tempi antichi con trasferibili (risultati ovviamente sempre perfetti, ma che pazienza...), oggi utilizzo esclusivamente una stampante laser HP4050 a 1200 dpi con carta da lucido oppure carta comune (la risoluzione non è importante ed il motivo principale della scelta è che ho già questa stampante in laboratorio, per altri usi).

Per quello che possa servire, riporto qualche risultato dei miei esperimenti, fatti nel tempo:

  1. HP 6MP a 600 dpi e HP IIP a 300 dpi: risultati quasi perfetti con lucido e carta comune. Discreti con acetato specifico per laser. Penso che questi risultati siano comuni alle stampanti laser di fascia alta, anche se non recenti e non ad alta risoluzione
  2. HP 5L e 6L a 600 dpi: discreti risultati con lucido; meno che discreti con acetato; buoni con carta comune. Si tratta di modelli laser economici e, nella produzione dei master, si vede
  3. Fotocopiatrici varie: i risultati vanno da buoni a cattivi. Penso molto dipenda dalla manutenzione della fotocopiatrice oltre che dalla qualità della macchina e del supporto
  4. HP 550C e Fujitsu B100: pessima su lucido. Si tratta probabilmente di un supporto non adatto a stampanti a getto. Anche con carta comune i risultati sono cattivi. Penso molto dipenda dal fatto che si tratta di due modelli piuttosto datati.

Molte esperienze che spesso si leggono sui gruppi di discussione di elettronica amatoriale riportano successi utilizzando molte stampanti ink-jet moderne (in particolare fotografiche di ultima generazione) o laser. Veramente importante è usare un foglio adatto al tipo di stampante e di inchiostro, anche se a volte costoso, ed impostare la stampante come consigliato dal produttore per la massima qualità (in genere tutti i driver sotto Windows hanno una modalità specifica per i lucidi e/o acetato).

Una soluzione: portate il vostro file ad una tipografia e chiedete di farvelo stampare su di un fotoplotter o con una macchina da fotolitografia: risultato eccezionale anche se è un po' scomodo (non ho ancora provato questa soluzione ma nei gruppi di discussione viene spesso segnalata come la migliore scelta nel caso in cui non si possieda una stampante adeguata).

La basetta con vernice fotosensibile

Il materiale di base per usare la tecnica della fotoincisione è costituito da una normale basetta per circuito stampato su cui è stesa in modo omogeneo una particolare pellicola resistente all'incisione (photo-resist coated board o basetta presensibilizzata); se si illumina questo tipo di supporto con luce ultravioletta il polimero che costituisce la struttura di base della vernice diventa solubile in una soluzione basica e quindi può essere facilmente rimosso.

L'idea che sta alla base è questa:

A voler essere pignoli esistono vernici fotosensibili che funzionano esattamente al contrario (diventano resistenti all'incisione dove arriva la luce UV e sono quindi chiamate "negative"): le ultime basette di questo tipo le ho però usate almeno una decina di anni fa e non mi risulta siano più reperibili in commercio.

La cosa più comoda è quella di comprare una basetta con già la vernice fotosensibile stesa sopra. La basetta è venduta con una pellicola adesiva oppure in busta di alluminio sottovuoto, a scopo protettivo: fin quando è tenuta in questo modo la si può trattare senza particolari attenzioni. Unica avvertenza è quella di comprarne una quantità ragionevole perché, con il tempo, tende ad invecchiare, soprattutto se lasciata ad alta temperatura; non è però il caso di preoccuparsi: ho utilizzato con successo basette lasciate in un armadio un paio di anni, in un locale chiuso che in estate raggiunge e supera facilmente i 40 °C; certo un po' di attenzione è opportuna ma sicuramente non vanno tenute in frigorifero, come ho letto da qualche parte.

Come appare una basetta presensibilizzata protetta dalla pellicola adesiva

Un'alternativa finalizzata ad un consistente risparmio economico è quella di stendere da soli la vernice. Se proprio volete provare, trovate in commercio bombolette spray apposite (un esempio è Positiv20, diciamo 10 euro a bomboletta). Francamente vi sconsiglio questa strada, soprattutto per le prime volte. Se proprio volete provarci, attenzione alle istruzioni, alla polvere, alla stesura in uno strato sottile ed omogeneo, alla perfetta essiccazione al buio. E auguri... Altrettanti se non maggiori auguri servono a coloro che vogliono cimentarsi nell'uso di vernici liquide, da stendersi usando una sorta di giradischi per renderne perfettamente omogeneo lo spessore.

Quando si toglie la pellicola protettiva, la basetta diventa decisamente più delicata in quanto sensibile alla luce ambiente. Non si tratta di carta fotografica, quindi scordatevi la necessità di una camera oscura, ma qualche attenzione è necessaria:

Lo strumento utilizzato per esporre la basetta è il bromografo, descritto in una apposita pagina.

Lo sviluppo

Per evidenziare il disegno delle piste dopo l'esposizione è necessario utilizzare l'apposita soluzione alcalina: lo sviluppo non fa altro che sciogliere la vernice fotosensibili illuminata dagli UV, lasciando intatta la parte rimasta in ombra.

I prodotti chimici necessari sono venduti a caro prezzo nei negozi di elettronica. In realtà basta la comunissima soda caustica (NaOH), anche non pura, reperibile in qualunque laboratorio di chimica a pochi euro al Kg (ma a voi ne bastano pochi grammi). Se avete un amico chimico: problema risolto. Altrimenti provate in una ferramenta. O ancora potete recarvi in un supermercato nel reparto dei detersivi e cercare tra disgorganti per impianti idraulici: leggete la composizione e ne troverete certamente uno a base di NaOH (io ho usato Niagara®: perfetto).

Qualche avvertenza:

La soluzione di sviluppo va preparata sciogliendo indicativamente dai 5 ai 20g di NaOH (i sacri testi dicono 7g) in un litro di acqua; se quella del rubinetto è molto calcarea, molti consigliano di prenderla distillata.

Ho parlato di una quantità indicativa perché non penso nessuno abbia la possibilità di pesarla a casa e, del resto, è un'operazione che non serve se si fa qualche prova per trovare la giusta concentrazione. Io faccio così: prendo un cucchiaino scarso di soda, la metto in una bacinella con qualche bicchiere d'acqua e la faccio sciogliere con molta cura. A parte preparo una piccola quantità di soluzione molto concentrata di NaOH (diciamo cinque cucchiaini in un bicchiere), curando attentamente che non rimangano granuli non disciolti (attenzione: quando è concentrata la soda è altamente corrosiva). Quindi procedo con lo sviluppo con la soluzione più diluita; se il processo è troppo lento, aggiungo lentamente un po' di soluzione concentrata, facendo attenzione che non investa direttamente la basetta. Trovata la concentrazione corretta, la travaso in un contenitore chiuso in vetro per usi futuri, scrivendo chiaramente il contenuto (con tanto di teschio e tibie incrociate) ed evitando assolutamente contenitori originariamente per alimenti.

Da notare che una volta preparata la soluzione basica, questa può essere riutilizzata per qualche tempo, praticamente fin tanto che rimane abbastanza trasparente oppure si cominciano a notare depositi sul fondo.

La basetta si immerge nella soluzione di sviluppo con il rame rivolto verso l'alto, usando le opportune precauzioni per evitare schizzi di liquido corrosivo o graffi sulla basetta; in qualche secondo si nota l'inizio della reazione: la superficie della basetta diventa di un colore verde o blu molto scuro, quasi nero. È opportuno agitare molto delicatamente con un pennello morbido la soluzione sulla superficie della basetta, in modo tale da rimuovere la patina nerastra presente e quindi poter vedere le piste, che devono apparire in 20-30 secondi.

Il tempo dello sviluppo deve essere tale da rimuovere completamente il photoresist inutile lasciando però intatte le piste del circuito: l'unico modo di verifica è l'osservazione diretta, tenendo conto che a volte il rame potrebbe sembrare pulito anche se in realtà è ancora ricoperto da una patina semitrasparente. Per una verifica: le prime volte provate a graffiare una zona di rame pulito per essere sicuri che non vi sia nessuna traccia ancora presente. Un metodo utile per riconoscere il termine della reazione è verificare che non ci sia più formazione di liquido nerastro ed attendere quindi ancora qualche istante, sempre usando delicatamente il pennello. Un leggero aumento del tempo di sviluppo non porta problemi particolari, soprattutto se l'esposizione è stata fatta correttamente e il photoresist è di buna qualità.

Per questa lavorazione la temperatura della soluzione non deve essere né troppo bassa né troppo alta: diciamo tra i 20 e i 30°C (i sacri testi dicono 21°C ma io non ho mai usato il termometro).

Recentemente ho visto sul sito di di RS, noto distributore di componenti elettronici per corrispondenza, un prodotto per lo sviluppo confezionato in un pratico contenitore fornito di applicatore a spugna: non l'ho ancora provato ma mi sembra una buona soluzione per chi deve produrre un solo circuito stampato. Mi sembra però un po' caro (12 euro per 40 circuiti!).

Una volta accuratamente lavata la basetta (attenzione a non mischiare la NaOH con i liquidi di incisione), si procede con l'incisione in cloruro ferrico. È inutile l'asciugatura o il riscaldamento che tanti consigliano; anzi a volte si rischia di graffiare la superficie, rovinando lo strato protettivo.

E' meglio non far passare tempo tra l'esposizione, lo sviluppo e l'incisione in quanto con il tempo il photoresist, soprattutto se già sviluppato, perde di resistenza all'incisione e, soprattutto, il rame scoperto tende ad ossidarsi. Dopo l'incisione la basetta potrà invece essere immagazzinata anche per mesi, per poi procedere alla foratura ed alla saldatura.

Per la saldatura non sempre è necessario togliere prima il photoresist, operazione da fare comunque all'ultimo momento: a volte è perfettamente saldabile ed aiuta a proteggere il rame dall'ossidazione (prima però fate un test accurato perché non tutti i photoresist sono uguali).

Realizzare circuiti stampati - Indice

  1. Cosa è un circuito stampato
  2. Il trasferimento diretto
  3. La fotoincisione
  4. Il bromografo
  5. Press-n-Peel
  6. La dimensione delle piste
  7. L'incisione chimica dei PCB
  8. Le lavorazioni meccaniche
  9. La saldatura
  10. Gli errori più comuni
  11. Note sulla sicurezza

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